Da molto è arrivato il tempo di una trasformazione sistemica

– ce lo mostrano i modelli socio-economici disfunzionali, ce lo rivela una politica che non ha nessuna cura della polis e del bene comune, ce lo chiede una Terra con (eco)sistemi al collasso.
E non possiamo pensare di risolvere problemi che hanno cause sistemiche senza affrontare la radice del problema – che per l’appunto è il sistema, il paradigma.
Approcciare diversamente la cosa significa tentare di curare i sintomi chiudendo gli occhi alla realtà dei fatti. Se si cura il sintomo senza curare il terreno e le radici, comparirà un nuovo sintomo originato dalla stessa causa sistemica.

 

Si ipotizza che il paradigma corrente (ormai in campo da diversi millenni) sia nato in risposta a grandi cambiamenti, presumibilmente climatici. Ha avuto un suo senso, nello stesso modo in cui hanno senso gli schemi individuali di risposta ai traumi: garantiscono la sopravvivenza, ma spesso solo quella, non supportano la vita piena, non nutrono l’evoluzione.
Hanno ragione di essere per un tempo limitato. Poi arriva il momento di fare i conti con la realtà dei fatti, riconoscere la risposta al trauma per ciò che è, prenderci la responsabilità del nostro esistere e fare atto di coraggio per lasciare la zona di comfort in favore dello spazio creativo (e dapprima caotico) della co-creazione di un Nuovo nutriente e funzionale.

Si tratta esattamente di fare atto di coraggio: siamo ancestralmente portati a preferire il noto (benché disfunzionale) all’ignoto – del noto sappiamo che ci garantisce la sopravvivenza, dell’ignoto, per sua natura, nulla conosciamo. E la sopravvivenza è tutto ai fini della continuazione della specie.

Ma arriva un tempo in cui l’atto di coraggio è richiesto e non rinviabile, perché il conosciuto è chiaramente un sistema morente che si attacca con le unghie (attraverso i pochissimi che ne beneficiano e i molti che hanno paura del cambiamento) alla vita, lasciando l’amplissima maggioranza dell’umanità (e dei terrestri non umani) in uno stato di profonda sofferenza e di cronica allerta.

Arriva il tempo in cui correre il rischio di non sopravvivere nel tentativo di co-creare un nuovo e migliore paradigma, che vada a beneficio dell’intero sistema Terra, diventa più rilevante, più di valore e meno rischioso dell’accontentarsi di un mondo morente.

“Take a leap of faith”, si dice in inglese.
Fare atto di coraggio, per gli anglofoni, non è pura dimostrazione di forza; no, richiede faith, che significa sia fede che fiducia.
Servono entrambe: la fede in quel qualcosa che è più grande di noi (Dea, Dio, Intelligenza, Universo, Vita…) e la fiducia in noi stessi e negli esseri (umani e non umani) che con noi convivono su questa Terra.

Servono fede e fiducia perché ogni transizione, anche quella più dolce, contiene in sé una certa dose di caos, ogni transizione è Morte e Rinascita: il Vecchio sta morendo e già non è più, il Nuovo sta nascendo e non è ancora.
Stare in quello spazio di Vuoto che esiste tra la Morte e la Vita (per di più in una cultura che rifugge la Morte a tutti i costi) richiede fede e al contempo richiede visione.
Richiede che fin da ora prendiamo l’impegno di immaginarlo quel Nuovo, per poi tenere ben presente, a coscienza, quell’utopia, quella visione a cui tendere.

La buona notizia è che non dobbiamo immaginare niente di troppo nuovo.
Marija Gimbutas, e con lei e dopo di lei molte altre, ha portato alla luce la verità: il paradigma corrente non è nato con l’umanità, le cose non sono sempre state così.
Possiamo attingere al passato e integrarlo con le consapevolezze presenti per co-creare il futuro.

Possiamo avere un’immagine chiara e un sentire chiaro della direzione verso la quale vogliamo andare – una chiarezza che offre la motivazione e il nutrimento necessari per attraversare la fase di transizione, che contiene e conterrà senz’altro almeno un po’ di (se non molto) caos e che ci porterà senza dubbi a dover fare i conti con noi stessi, con ciò che diamo per scontato, con i privilegi che abbiamo, con la mancanza di onestà che abbiamo riservato a noi stessi e gli uni gli altri.

Serviranno coraggio, fede e verità per rinascere, come individui e come famiglia planetaria.
Servirà riconoscere, accogliere e vivere l’Amore, per co-creare davvero quella che ho scelto di chiamare “Nuova Antica Terra”.

Serve l’impegno vero, reale di ognuno di noi.
Ma possiamo riuscirci.
Possiamo farlo.

Scegliete questo impegno?
Io con-fido in ognuno di noi.

Come sopra, così sotto. Come dentro, così fuori.

Qualche risorsa aggiuntiva:

Utopia: visione per il futuro collettivo, blogpost
Earth Day: attivismo per Mamma Terra, raccolta di risorse
VITA-MORTE-VITA – La paura del cambiamento, vlog
Salute non è assenza di malattia, blogpost

Libri:

– “Il linguaggio della Dea”, Marija Gimbutas
– “Il risveglio della Dea”, Vicki Noble
– “Donne che corrono coi lupi”, Clarissa Pinkola Estés
– “Reclaiming the Wild Soul”, Mary Reynolds Thompson
– “Il sentiero della Terra”, Starhawk
– “Her blood is gold”, Lara Owen
– “Exuberant Animal”, Frank Forencich
– “Designing Regenerative Cultures”, Daniel Christian Wahl