Comunità:
una parola che di recente è molto usata, quasi abusata, soprattutto nella versione inglese di community.
Quanto, tuttavia, è rimasto del reale significato di comunità?
Ho passato gli ultimi giorni a casa di mia madre, nel paese in cui sono nata e nel quale ho vissuto gran parte della mia vita. Un posto dal quale ho sempre cercato di scappare, perché “troppo piccolo, troppo stretto, dalla mentalità troppo chiusa” – parole, queste, che ho ripetuto un’infinita di volte.
Più di una volta me ne sono andata, ho vissuto in luoghi diversi e ho continuato a vivere con angoscia il ritorno in terra natìa.
Forse ti starai chiedendo cosa c’entra questo con il concetto di comunità, ma abbi un po’ di pazienza, ci sto arrivando.
Qualche mese fa ho deciso che era arrivato il momento di lasciare definitivamente la casa in cui sono nata e cresciuta e così mi sono messa a cercarne un’altra, preferibilmente in campagna, così da avere intorno il minor numero possibile di persone (non sono una misantropa, sono semplicemente empatica e molto sensibile e stare a contatto con molte persone per tempi prolungati mi drena, mi esaurisce).
Ho trovato questo appartamento in piena campagna e mi ci sono trasferita. Finalmente una casa tutta mia (in affitto, chiaramente), finalmente non dovevo più condividere uno spazio ristretto con altre persone, finalmente potevo respirare!
Tuttavia, c’è un “ma“.
Dopo i primi momenti in cui ho goduto degli aspetti positivi della scelta compiuta, hanno iniziato ad emergere gli aspetti negativi, primo fra tutti la mancanza di una comunità.
Ora mi dirai: ma non volevi stare da sola, senza gente intorno?
Hai perfettamente ragione.
Ma a volte è solo facendo esperienza di ciò che pensiamo di volere (e che, sia chiaro, ha un calderone di pro) che ci si accorge di avere bisogno di qualcosa di cui non eravamo consapevoli o che davamo per scontato.
Torniamo quindi agli ultimi giorni, passati nel paese natìo. Li ho vissuti quasi interamente rinchiusa in casa a lavorare al rinnovamento del sito (a proposito, ti piace?).
Quando però ho avuto bisogno di fare una pausa o di prendere una boccata d’aria, mi è bastato uscire e camminare per qualche minuto per ritrovarmi nella piazza principale del paese dove, nonostante il freddo e l’inverno ancora pieno, qualcuno con cui scambiare un saluto o un sorriso l’ho sempre trovato – può sembrare cosa da poco, ma un gesto in apparenza così piccolo può risvegliare il senso di appartenenza, può essere un atto di comunione.

Checché se ne dica, indipendentemente da ciò che cerchiamo di raccontarci, siamo animali sociali e il bisogno di appartenere, di far parte di una comunità, unito alla paura dell’abbandono e del rimanere soli, è reale, poiché la nostra sopravvivenza dipende anche dai nostri simili – questo era tanto vero all’epoca in cui l’umanità era nomade quanto lo è ai giorni nostri.
La tendenza individualistica dei tempi moderni ci ha illuse di poter fare tutto da sole; così il senso di comunità ha iniziato a perdersi e negli ultimi due decenni ho potuto constatare personalmente quanto la situazione sia andata peggiorando.
Stiamo perdendo il concetto di piazza, quel concetto molto italiano di piazza come luogo di incontro che i non-italiani spesso ci invidiano;
stiamo perdendo (o forse abbiamo già perso) la capacità di chiedere ai vicini quando ci manca il sale o lo zucchero;
ci stiamo chiudendo sempre di più all’Altro, anche a quell’altro che conosciamo da una vita, sempre più sospettosi e impauriti, anche nei piccoli centri.
Ecco che allora trovare delle persone a veglia dal fruttivendolo è stato, sorprendentemente, emozionante, così come lo è stato fermarsi a fare due chiacchiere in piazza per il semplice piacere di fare due chiacchiere.
Ho ricordato quella lentezza e, a piccole dosi, quel senso di comunità che nel mondo individualistico e frenetico di oggi sono quasi completamente perduti.
Crescendo si può imparare ad apprezzare il buono anche laddove credevamo non ce ne fosse e, forse, lo si può fare perché ci accorgiamo che
c’è incredibile ricchezza in una vita più lenta, nell’aria pulita,
nelle piante selvatiche e negli occhi della gente.
Comunità allora diventa una parola importante, poiché si carica di un reale significato, e ci si accorge che è un dono che si può ricevere, ma che si può anche donare.
Creare comunità significa contribuire a rendere il mondo un posto migliore e ognuno di noi può, e nella mia opinione dovrebbe, farlo; puoi iniziare donando un sorriso alla prossima persona che incontrerai sulla tua strada.
Con un sorriso lento e sentito,
