Un anno + una settimana fa, sceglievo di prendermi una pausa: dai social, dal lavoro, dal telefono, dal mondo moderno.
Lo sceglievo perché sentivo il bisogno irrimandabile di stare – senza fare, correre, raggiungere, ottenere. Semplicemente stare: fermarmi, ascoltare, ascoltarmi, respirare, accogliere, ri-conoscermi, ritrovarmi.
Lo sceglievo perché avevo bisogno di pensare a me e ricaricarmi dopo tanto dare, donare, servire.
Lo sceglievo perché volevo ricordarmi del senso e della bellezza di questa vita.
Mi sentivo persa, mi sembrava di inseguire obiettivi non miei, mi ritrovavo a lavorare con le mie passioni ma mettendole in campo così come altri credevano che fosse giusto.
Facevo, ma non sentivo più.
Portavo fuori, senza essere pienamente dentro, nell’essenza di me e delle cose.
Quale autenticità, quale verità, quale sentire può esserci in un mo(n)do tutto votato all’apparenza e privato, svuotato di presenza, onestà ed essenza?
Ero stanca, la Mestruazione era in arrivo e così sceglievo di prendermi una pausa per ricordarmi di me, della gioia e della vita.
Tornavo nel mondo, in punta di piedi, dopo poco più di una settimana, sentendomi un’estranea in questo mondo moderno e a mio agio in quello spazio a cavallo tra i mondi dove i confini si confondono, dove vita interiore e vita esteriore si mescolano al punto da non sapere più dove finisca l’una e dove inizi l’altra.
Tornavo con la consapevolezza incarnata (così incarnata che renderla a parole è difficile) che la Terra e la Luna sono tanto fuori quanto dentro e che il Divino è dappertutto.
Tornavo con la comprensione riconquistata del mio perché su questa Terra, in questa vita.
Poi la vita è tornata ad accadere.
Da allora sono successe e cambiate moltissime cose e, mese dopo mese, sono tornata a perdermi un po’.
Ma la vita davvero è ciclica.
Così, due Lune Piene fa, la consapevolezza dell’aver perso nuovamente la direzione è tornata alla mia coscienza con forza.
Si è presentato, senza alcuna possibilità di metterlo da parte, il bisogno di crearmi una vita all’altezza dei miei sogni – che non sono poi così elevati, anzi strisciano a contatto con la Terra e volano negli spazi di confine, come l’aquila che sale verso l’alto dei Cieli e come le radici che scendono nelle profondità del Grembo della Terra.
Non ho più potuto far finta: ho dovuto (e voluto) ammettere a me stessa che essere sempre impegnata e avere tanto lavoro non mi danno gioia e non fanno bene alla mia salute (mentale e fisica).
Ho ri-conosciuto che è nello spazio, nel vuoto e nel silenzio che trovo serenità e gioia e che, perché quelli ci siano, è necessario che renda tutto più semplice: il lavoro prima, il resto della vita di conseguenza.
In quest’ultimo mese e poco più, mi sono dedicata a lasciare andare, a ridurre, a semplificare, da una parte; dall’altra ho preso tempo per coltivare la semplicità e un nuovo tipo di connessione con il Cuore e con la Terra.
Così ho trovato gioia e profonda emozione nel raccogliere e lavorare le erbe che saranno le mie medicine; ho trovato rigenerazione nel passare ore sdraiata sul prato, con il Sole sulla pelle e il ronzio delle api a cullarmi; ho trovato rimembranza, memoria, nella condivisione piena di Cuore durante i Cerchi di Donne; ho trovato rinascita nel lasciare che parti vecchie di me, ormai morte, scorressero via con il fiume di lacrime inarrestabile che tristezza, dolore e rabbia antichi hanno fatto sgorgare, perché potessero finalmente uscire, perché potessi ritrovare un po’ di leggerezza.
Il processo non è concluso.
Anche ora, come un anno + una settimana fa, sento il bisogno di prendermi una pausa: dalle responsabilità, dallo stare fuori più che dentro (di me), dal produrre per produrre invece che per abbondanza, dai paragoni, dal giudicare e dal giudicarmi, dall’illusione che possa evolvere aggiungendo invece che spogliandomi, dalle paure e dalle false credenze che mi guidano verso la disconnessione invece che verso l’Amore.
(In realtà ho già iniziato a farlo)
Anche ora, come un anno + una settimana fa, una parte di me ha paura che lasciando morire ciò che deve morire, che rallentando, che mettendo in pausa, tutto il lavoro fatto fino a qui possa andare perduto.
Ma c’è un’altra parte, che è davvero stanca, che mi ricorda che se io non sto bene l’impatto che posso avere nel mondo si riduce, e mi ricorda anche che il modo migliore per trasformare la realtà fuori è trasformare la realtà dentro – perché l’esempio di vita vale più di mille parole.
Quella parte mi ricorda, infine, che io, come ogni altro Essere, ho diritto per nascita alla gioia, allo star bene e alla serenità (e che, visto che finora ne ho usufruito molto poco, non ho bisogno di sentirmi in colpa se scelgo di mettermi sulla loro strada).
Non trovo più alcun senso nel vivere inseguendo bisogni non miei, secondo modalità ritenute giuste da altri.
Non trovo più alcun senso nel vivere per lavorare e, in certi momenti, non ne trovo nemmeno nel lavorare per vivere.
Ora, dopo tanto lavoro, è venuto il tempo di concedermi lo spazio per capire come si fa a godere della vita, di esplorare le possibilità che il piacere, la gioia e la bellezza possano essere colonne portanti, di vivere il senso e il perché (e dal senso e dal perché) di questa mia vita su questa Terra.
È scelta per me, ma anche invito e augurio per tutte voi.
Con Corpo, Cuore e Anima,
in Selvatichezza e Sacralità,
vi abbraccio.
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P.S.: non sparisco, solo le mie apparizioni saranno meno frequenti e più mirate; nel calendario trovate tutti i prossimi eventi, nella newsletter potete leggere pensieri e novità, nelle storie di instagram potete intravedere un po’ di quotidianità.