Premessa:
con questo mio racconto non voglio demonizzare la medicina allopatica né togliere validità a esperienze diverse dalla mia.

Dal sito dell’OMS: “Health is a state of complete physical, mental and social well-being and not merely the absence of disease or infirmity“.
Cioè: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattie o infermità”.

L’assenza di malattie e infermità non guasta nel contribuire al raggiungimento di uno stato di completo benessere.
Ma non basta e, oserei dire, non è sempre necessario – ci sono persone là fuori che, nonostante malattie croniche o disabilità, si sono create vite che garantiscono loro un benessere maggiore di quello di altre che hanno la fortuna di “stare bene”.

Vi racconto la mia esperienza

Ho passato gran parte della vita tra una malattia e l’altra. Anche attualmente ho la mia dose di problemi, ma ho scelto di non identificarmici – che è uno dei motivi per cui non uso #cancersurvivor come definizione di chi sono. Ed è anche per questo che ho scelto di impegnarmi nel co-creare una vita in cui la mia salute sia piena e presente in ogni dimensione dell’essere, indipendentemente dai verdetti che i medici mi hanno dato.

Ci sto riuscendo.
Non sempre sono al top, ma la vita è ciclica, l’ho imparato, lo insegno e ci credo pienamente. Ogni fase ha le sue sfide e i suoi doni, e ogni fase passa.

Il paradigma attuale è obsoleto

Tempo fa ho scritto un blogpost su una caratteristica della modalità di pensiero occidentale che entra senz’altro in contrasto con la definizione di salute dell’OMS ma che è veicolata in molti ambienti, anche scientifici, soprattutto medici.
Tendiamo a non andare alla radice del problema, ma a trovare strumenti che blocchino o mascherino i sintomi – di esempi in campo medico ce ne sono tanti, soprattutto nei casi di problematiche ritenute incurabili (vedi malattie autoimmuni), ma non solo.
Per fare un esempio banale: hai sintomi influenzali? Ecco la pasticca per farli passare, così puoi tornare al lavoro. Sei in fase mestruali e hai dolori? Ecco la pasticca per farli passare, così puoi tornare alla tua vita “normale” come se niente fosse. (Non sto parlando dei casi in cui i dolori sono così forti da richiedere un aiuto – ma anche in tal caso: bene l’antidolorifico come tampone iniziale, ma poi vogliamo esplorare perché ci sono quei dolori? Nessun dolore mestruale, tantomeno se invalidante o che richiede antidolorifici, è normale. Comune sì, ma non normale.)

Dove finisce il concetto di salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale (e, perché no, aggiungo, spirituale)?
Viene sacrificato sull’altare della produttività, del guadagno, cioè, in ultima analisi, del capitalismo, di un sistema che non solo favorisce pochi a scapito dei più ma che ha in sé un’intrinseca dominazione dei gruppi privilegiati che cerca di mantenere tali a scapito di chi quei privilegi non li ha.
Lo ritroviamo anche in campo medico, visto che, per utilizzare un esempio che conosco bene, la gran parte delle ricerche e dei test sono stati fatti su corpi maschili e poi i risultati applicati a tutte e tutti indiscriminatamente.

L’etnocentrismo della scienza occidentale

Aggiungiamo un altro elemento.

Esistono tante cose efficaci per la nostra salute (sempre intesa come da definizione dell’OMS) e la scienza occidentale non le sa riconoscere; altre ha imparato a riconoscerle solo di recente (vedi l’intestino come secondo cervello – quando se ne parlava 15 anni fa, si veniva presi per matti, poi anche la scienza si è accorta di quanto altre tradizioni sostenevano da millenni).

Finché non è provato con il metodo scientifico occidentale, viene tutto considerato fuffa. Come se il “nostro” fosse l’unico modo giusto per conoscere la realtà.
So per studi, per sensibilità e per esperienza personale che non è così.

Il nostro etnocentrismo unito a un’altra serie di cose (tra le quali la dominazione maschile sulle donne) ha fatto sì che nel corso dei secoli ci siamo elevati, come società occidentale, a detentori dell’unica verità.

E così le popolazioni indigene che abbiamo incontrato colonizzando il mondo le abbiamo ritenute primitive, selvagge (nel senso dispregiativo e coloniale del termine) e ci siamo sentiti in diritto di dominarle e reprimerle perché abbiamo ritenuto le loro credenze infantili e sbagliate – in nome quando del Dio cristiano, quando della democrazia, quando della scienza.
Così abbiamo sacrificato migliaia e forse milioni di donne durante l’età dei lumi, nell’epoca in cui la ragione diventava luogo di sola verità; in quell’epoca abbiamo torturato, bruciato, ucciso tutte quelle donne scomode, magari perché libere e non sottomesse a un uomo, magari perché detentrici di saperi millenari anche in campo medico e così abbiamo sottratto il sapere alle donne per rinchiuderlo nelle università che, ovviamente, erano riservate agli uomini. E così non erano più le levatrici e le herbarie a conoscere le necessità delle donne e a poterle aiutare, ma i medici accademici – gli stessi che hanno fondato la ginecologia moderna partendo dalle torture delle donne, in particolare di quelle dalla pelle non bianca. Gli stessi che ritenevano le donne fragili, il “sesso debole”, gli stessi che ritenevano le persone non bianche animali e quindi insensibili al dolore.

Come ci siamo lasciati convincere di essere i possessori, come cultura occidentale figlia dell’illuminismo, dell’unica verità?
Quell’unica verità che è stata ed è tuttora all’origine di soprusi e distruzione – anche quella della nostra Madre Terra.

La possibilità delle alternative

Non è forse arrivato il momento di cambiare la lente con cui guardiamo ed esperiamo la realtà?
Non è forse arrivato il momento di smettere di ergerci, come cultura, a unici possessori della verità, a salvatori del mondo, a migliori degli altri?

Io sono la prova vivente che la medicina occidentale non è infallibile e che altre visioni del mondo posseggono altrettanta verità.
Se non fosse così non sarei qui, o forse sarei disabile, o forse sarei costretta a prendere medicine per tutta la vita.

Torniamo a ricordare, come dice l’OMS (che con tale definizione non ha inventato niente di nuovo), che la salute non è mera assenza di malattia o infermità, bensì uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale.
E, aggiungo, spirituale.

Con questo mio racconto, come premesso, non voglio demonizzare la medicina allopatica, bensì restituire dignità e validità a tutte le altre pratiche.
Anche quelle che la scienza occidentale non ha ancora compreso ma che hanno millenni di storia alle spalle a comprovarne la validità.
Voglio restituire dignità a quelle funzioni della mente che non pertengono alla sfera della ragione, che ancora ha supremazia nella nostra cultura – perché l’intuizione, per esempio, è altrettanto valida e necessaria.
Voglio riportare nel senso comune il nostro essere esseri multidimensionali, come racconta, fra le altre, la scienza ayurvedica. Non di solo corpo fisico siamo fatte, ma anche di mente e cuore, di energia e spirito, e oltre.

Voglio infine ricordare che noi siamo le prime conoscitrici di noi stesse, nessuno meglio di noi può sapere come ci sentiamo – e, se abbiamo passato la vita a delegare completamente la nostra salute a qualcuno fuori da noi, siamo ancora in tempo per recuperare la responsabilità della nostra esistenza: che non vuol dire non chiedere mai aiuto o non cercare il supporto di professionisti, ma ascoltarci e riconoscere quando qualcosa non ci torna, chiedere 2-3 o anche 10 pareri diversi, e poi scegliere per noi stesse ciò che riteniamo giusto per noi.

Se non avessi scelto questa strada, oggi non sarei qui.