Ah, la paura dei cambiamenti!
Che probabilmente altro non è che la molto umana paura dell’ignoto.
E la paura dell’ignoto è connessa all’istinto di sopravvivenza: è una paura funzionale quando siamo in una situazione di reale pericolo, è funzionale quando il nostro obiettivo è arrivare alla fine della giornata (o alla fine del mese…) – quando siamo in uno stato di scarsità di risorse.
In tale stato è necessario che emerga la paura dell’ignoto, è fondamentale che esista la zona di comfort e che ci sentiamo tremendamente attaccate ad essa. Quando c’è scarsità di risorse siamo in modalità risparmio energetico: tentare, rischiare, esplorare oltre ciò che già è noto e familiare sarebbe una dispersione inutile (e rischiosa) di energie e risorse.
Funziona un po’ come per il gioco: se osserviamo degli animali, anche adulti, giocare poco o affatto, possiamo dedurre che si trovano in una condizione di mancanza di benessere o di scarsità di risorse – ovvero sono nella necessità di pensare alla sopravvivenza (e quando c’è da pensare a sopravvivere – mangiare, trovare un riparo sicuro, riprodursi… – certamente non si possono disperdere energie e non si può perdere tempo dedicandosi al gioco).
Che gli adulti umani oggi non giochino quasi mai (e che se lo fanno si dimentichino del corpo), è un sintomo di un malessere socio-culturale che ha però bisogno di essere approfondito in altro luogo.
Il gioco prevede l’uscita dalla zona di comfort, perché è per sua natura attività di esplorazione e di apprendimento attraverso il rischio e l’errore. Ma, per l’appunto, possiamo giocare solo quando stiamo bene e abbiamo risorse a sufficienza.
Oggigiorno lo stato di necessità e la scarsità di risorse non sono sempre reali; più spesso accade che sia la nostra percezione della realtà ad essere di scarsità, perché il nostro occhio è poco allenato a vedere ciò che c’è e molto abituato a guardare a ciò che hanno gli altri o a ciò che qualcuno gli dice essere fondamentale per la felicità e la soddisfazione. Così, come la gazza, l’occhio è attratto da ciò che luccica (e che è sempre un po’ più in là, sempre in mano a qualcun altro), perché, si sa, l’erba del vicino è sempre più verde.
Poiché il nostro cervello non fa distinzione tra il reale e il percepito/immaginato, se crediamo di non avere/essere abbastanza, si attivano in noi quegli schemi e quelle reazioni (culturali o biologiche) che entrerebbero in gioco se il non avere/essere abbastanza fosse reale.
Reale o percepita, quando sentiamo scarsità ci attacchiamo con le unghie alla nostra zona di comfort.
Sono cresciuta immersa nel senso di scarsità – in parte era conseguenza di condizioni reali, in parte solo di una mentalità che nella mia famiglia ci portiamo dietro da molte generazioni.
Per tanto tempo ho cercato di lavorarci su, per trasformare il senso di scarsità in consapevolezza di abbondanza, per imparare che, davvero, sono sempre sostenuta, sorretta e provided for – c’è sempre qualcosa di più grande che si prende cura di me, ho sempre risorse a disposizione.
Ultimamente (saranno le eclissi?) qualcosa dentro di me è mutato e sto vivendo gran parte delle mie giornate con questa consapevolezza: non vivo nello sperpero, ma nel sentire che da una parte o dall’altra, in qualche modo, quello che mi serve arriva e arriverà sempre.
Non solo questo mi fa vivere più leggera, ma fa anche che giungano a me maggiori opportunità che a loro volta mi fanno sentire ancora più sostenuta. Si entra così in un circolo virtuoso.
Ci sono molti momenti in cui mi chiudo di nuovo, mi irrigidisco e torno nella mentalità di scarsità, che sia quando sono realmente in difficoltà o quando entro in stato d’ansia e pre-occupazione – d’altronde la consapevolezza non solo mentale, ma soprattutto sentita dell’abbondanza è per me una realtà nuova. Ma sto cercando di rimanere il più possibile nell’apertura, nella ricettività e nella consapevolezza che ho, e sempre avrò, ciò che mi serve.
La paura dell’ignoto, in fondo, è connessa alla percezione della scarsità,
perché se noi fossimo pienamente convinte che, ovunque andiamo, qualunque cosa facciamo, qualunque cosa cambiamo, ci sarà sempre e comunque chi si prenderà cura di noi e che saremo sempre sostenute e che avremo sempre quello di cui abbiamo bisogno,
ci faremmo molti meno problemi ad andare verso il Nuovo.
E i nostri sogni ci sembrerebbero meno irrealizzabili.
Ecco un esercizio che forse già conosci e pratichi per allenare il muscolo della consapevolezza dell’abbondanza:
R I T O S E R A L E D I G R A T I T U D I N E
Occorrente:
– penna
– foglio, o ancor meglio un quaderno da dedicare quotidianamente a questo semplice rito
N.B.: A me piace dedicarmi al rito di gratitudine la sera, come ultima cosa prima di dormire: diventa un momento di raccoglimento, durante il quale riflettere sulla giornata trascorsa, ricordarmi delle cose belle, lasciare andare quelle che non voglio portare con me nell’indomani e ritrovare il mio centro di serenità.
Sperimenta: potresti accorgerti che per te funziona di più praticare la gratitudine la mattina o in momenti differenti della giornata.
Scegli ciò che è più giusto per te, l’importante è praticare.
Modalità:
Prendi penna e quaderno.
Percepisci il corpo, la sua posizione e le sue sensazioni.
Fai qualche respiro, osserva l’aria che entra ed esce.
Ora sei presente, sei qui, ora.
Scrivi la data di oggi (e, se pratichi la menstrual cycle awareness, ti invito a scrivere anche in che giorno del tuo ciclo ti trovi).
Poi elenca le cose/persone/situazioni/eventi/motivi per cui oggi provi gratitudine – a me piace elencarne 5 ogni giorno: tu potresti scegliere di elencarne di più o di meno, o di variare in base a come ti senti quel giorno.
Fai un sorriso (preferibilmente spontaneo), e chiudi il quaderno.
IMPORTANTE: è un rito quotidiano. Come esseri umani apprendiamo per ripetizione: più spesso facciamo una cosa, più quella entra nel calderone delle abitudini o in quello degli atti che ci riescono così bene da diventare spontanei. Pratica ogni giorno.
Fammi sapere come va con il tuo rito,
