“By all means, use sometimes to be alone,
Salute thyself: see what thy soul doth wear….
And tumble up and down what thou findst there”,
George Herbert

Capita di essere prese e sballottate tra mille impegni – ovviamente accade solo se siamo noi a permetterlo, perché le nostre boundaries, i nostri confini, non sono sufficientemente forti.

Capita che, poi, quando gli impegni diminuiscono e il ritmo esterno rallenta non accada altrettanto al ritmo interno: così, anche se potremmo concederci un pomeriggio o una giornata di lentezza e cura, la nostra mente continua a correre, il corpo continua ad essere in agitazione, il respiro è sempre costretto e la gola chiusa – la sensazione è quella di essere un animale bloccato dalle catene, anche se in questo caso catene non ce ne sono e l’unica responsabile di questa sensazione indovina chi è? Esattamente, siamo noi stesse.

Perché capita? Perché essere iper-impegnate ci offre la scusa per non prenderci una pausa con noi stesse e, quindi, per non guardarci dentro per conoscere le nostre ombre, i nostri demoni – che, se inosservati per troppo tempo, non svaniscono, ma crescono e crescono fino a che non sono loro a tenere le redini e a guidare il gioco.
Per questo, anche quando la frenesia esterna si riduce, non accade lo stesso a quella interna; o almeno non subito: se non abbiamo l’abitudine a guardarci dentro con regolarità, occorre qualche giorno, se tutto va bene, affinché anche il nostro mondo interiore rallenti il passo.
Spesso però non abbiamo qualche giorno di lentezza da dedicarci: allora diventa ancora più importante che l’incontro con noi stesse in lentezza diventi una pratica quotidiana, così da prevenire il crollo, il burn out.

Ma, forse ti chiederai, se è così importante stare nella solitudine intenzionale, perché non lo facciamo? Perché ne abbiamo paura. È quella paura che guida il mondo e che fa sì che, chi in un modo, chi in un altro, ci anestetizziamo per non sentire. Perché sentire può far male, e nessuno ci insegna a stare con il dolore e con tutte le sfumature delle emozioni, e diventa più facile scappare (ma ci portiamo sempre tutto dietro, e dentro).
Più siamo sensibili, più informazioni, eventi ed energie registriamo, spesso inconsciamente: se non diamo regolarmente un’occhiata a quello che ci siamo portate a casa (= dentro di noi), finisce che si crea un cumulo di cianfrusaglie sotto al quale nascondiamo emozioni e sentimenti che sono più facili da sopportare se sono lontani dagli occhi.

L’Anima, però, sotto tutte le cianfrusaglie si sente soffocare e, per tornare a galla, ci offre possibilità per pulire e mettere in ordine. Lo fa lanciandoci dei messaggi : la mandibola contratta, il perineo in tensione, lo stomaco attorcigliato, la mente annebbiata, l’ansia al risveglio, il panico quando fa sera, la voglia di scappare, la ricerca di un senso che ci sfugge così tanto da sembrare solo una fantasia.

Cosa fare allora per uscire da questa impasse? Il metodo più immediato è iniziare. Cosa? Qualunque cosa: quello che stai rimandando perché ti spaventa, o anche una cosa nuova. L’importante è iniziare, perché facendo il primo passo in una qualche direzione ci allontaniamo dalle condizioni che ci tenevano nella stasi.
Spesso mi succede con la scrittura. Mi sembra di non avere niente da raccontare, mi sembra inutile prendere in mano la penna per scrivere. A volte le illusioni che mi creo sono così potenti che finisco per crederci e quella penna in mano non la prendo; altre volte invece faccio come suggerisce Tina Welling in “Writing Wild”: abbasso i miei standard, non inizio a scrivere con l’obiettivo di condividere, inizio per me. Ma mi basta iniziare per aprire la diga sul fiume della creatività che sembrava prosciugato.

A questo punto potresti obiettare: Certo, ma questo funziona per te, non per me, lo so già; oppure: Se non so da che parte voglio andare, come posso iniziare?
Prima di poter iniziare è fondamentale rallentare per poter accedere all’Ascolto di sé – sì, quella cosa che ci spaventa tanto; perché se iniziamo senza aver prima rallentato, senza aver fatto almeno un respiro con consapevolezza, probabilmente il passo che faremo non sarà un reale primo passo, ma solo la continuazione per inerzia di quella frenesia che ci stava conducendo.

I modi per rallentare ed ascoltarci sono tanti: a ognuna il compito di scoprire i propri.
Provo a suggerirtene alcuni da cui potresti trarre ispirazione: c’è il lavoro sul respiro, c’è la meditazione, ci sono il radicamento e il contatto con la Natura esteriore, la connessione con l’utero e il movimento, c’è l’ascolto degli elementi, c’è l’osservazione dei sensi.

 

Per scoprire quali sono quelli che funzionano per te, occorre che sperimenti.
Se, però, non te la senti di affrontare questa esplorazione in autonomia, vorrei offrirti la mia mano per accompagnarti in questo viaggio di scoperta e di ri-connessione con te stessa.