Siamo nate per camminare.

In quanto esseri umani siamo fatti per spostarci sulle nostre due zampe posteriori e per utilizzare i piedi come principale strumento di locomozione.

Così è stato per i nostri antenati che, quando eravamo ancora raccoglitori e cacciatori, erano abituati a camminare e camminare (e camminare) ogni giorno, tutti i giorni – certo, era una questione di sopravvivenza, ma quello nomade era anche uno stile di vita secondo natura (la nostra).

Poi è arrivata l’agricoltura e con lei la vita ha iniziato a diventare più stabile: sono sorti i primi villaggi, le ore quotidiane di cammino si sono ridotte, ma per un lunghissimo tempo i piedi sono rimasti il principale mezzo di locomozione della specie umana – i più fortunati, insieme a chi per mestiere continuava a spostarsi e a percorrere grandi distanze, potevano contare su carri, carretti e animali da soma, ma questi non erano accessibili a tutta la popolazione.

Gli anni, i secoli e anche i millenni sono passati portando con sé innovazioni e cambiamenti degli stili di vita, tuttavia i mezzi di trasporto sono rimasti pressoché immodificati: la maggior parte degli esseri umani ha continuato a spostarsi a piedi, percorrendo quotidianamente chilometri nella maggior parte dei casi.

Tutto è cambiato con l’invenzione del motore e dell’automobile: dapprima i più abbienti, poi via via fasce sempre più ampie della popolazione hanno iniziato a usufruire di questo strumento che è stato una vera e propria rivoluzione – come avviene per qualsiasi strumento, questo può essere usato consapevolmente oppure può essere abusato finendo per essere gli usati invece che gli utilizzatori.

Automobile, treno, nave, aeroplano: hanno accelerato gli spostamenti adattando i ritmi di viaggio a quelli di una società sempre più veloce, sempre più veloce, e certamente ci hanno reso la vita più facile e comoda – così tanto, però, che ci siamo impigrit* fino a raggiungere quelle situazioni paradossali nelle quali non vogliamo più fare nemmeno 200 m a piedi e spesso non siamo nemmeno in grado di farlo senza avere il fiatone.

Da nomadi a pigri, malati e obesi – uno dei tanti effetti collaterali del progresso.

Quando a fine maggio ho subìto un intervento all’addome, ho vissuto l’esperienza (fortunatamente temporanea) di non essere in grado di compiere senza un intenso dolore nemmeno i movimenti che diamo ogni giorno per scontato – come l’alzarmi dal letto o, per l’appunto, il camminare.

E, come spesso accade quando non abbiamo la possibilità di fare qualcosa per cause esterne, ho iniziato ad avere un’irrefrenabile voglia di camminare, di farlo a lungo, di tornare a utilizzare i piedi come mezzo di trasporto per percorsi più lunghi del solito chilomentro o due che percorro in paese quasi tutti i giorni.

Mi sono concessa il tempo per guarire, per recuperare le forze, per prendermi cura di me; poi sono iniziati i tentativi di cammino: prima pochi metri (che mi procuravano grande stanchezza), poi pian piano sempre di più fino a che, un giorno, non sono riuscita a fare 5000 passi – a cui sono seguiti alcuni giorni di riposo, ma è stata comunque un’immensa gioia.

Ho iniziato allora a progettare la mia impresa: camminare da Cetona (SI) a Sarteano (SI), circa 7 km, quasi tutti in salita (con il senno di poi posso dire che non è stata poi una grande impresa, ma non è comunque cosa da tutti i giorni, soprattutto a poco più di un mese da un intervento).

Ho segnato l’avventura in agenda, ma il primo tentativo non è andato a buon fine perché mi sono lasciata condizionare dai dubbi di famiglia e amici, preoccupati per la mia salute da poco recuperata a pieno.

Poi una combinazione di fattori (un digital detox necessario, il bisogno di liberarmi di tensioni e pensieri, la scoperta di Darinka Montico grazie a Mangia Vivi Viaggia) mi ha dato la spinta che mi serviva: ho smesso di ascoltare le voci della pre-occupazione e il secondo tentativo è andato a buon fine. 

camminare

 

Un piccolo viaggio di 9000 passi, tra asfalto e natura, nell’aria ancora fresca di una mattina d’estate,

a riscoprire le potenzialità di questo corpo che è forte, che sa rifiorire dopo ogni difficoltà (e quante ne ha già viste in questi quasi 27 anni), anche quando non ci credo,

a fare i conti con me stessa, con le mie paure, ferite e ombre, e a ricordare che l’unico modo per superare il disagio (quello che prende quando ciò che abbiamo represso torna ad affiorare) è affrontarlo, è passarci in mezzo, e che abbiamo le capacità per farlo (ognuna di noi) perché le nostre potenzialità vanno oltre ciò che possiamo immaginare,

a ritrovare la Connessione con la Natura e a ricordare che Lei ci sostiene sempre e che, se ci apriamo, è pronta a nutrirci e a donarci energia e forza per vivere ogni esperienza e ogni avventura,

e, soprattutto, a rimembrare i Ritmi Naturali e il Ben-essere e la Bellezza che derivano dalla Ri-Connessione con i Ritmi e i Cicli che ci appartengono e che sono propri di tutto ciò che, insieme a noi, è Natura, quella della Terra e quella del Cielo.

Sono arrivata a destinazione con la gioia nel cuore e con la voglia di camminare ancora e ancora e ancora.
Stanca, sì, ma anche innamorata del viaggio lento, quello che riconduce a una dimensione più veritiera della Vita, quello che permette di godere di tutto ciò che ci circonda, di tutto cio che è, e che ci ricorda il significato profondo dell’esistenza – a contatto con noi stess* e la Natura.
Il viaggio a passo di Umano.

Molto di ciò che ho sperimentato è difficile da trasporre nel limitato linguaggio verbale umano.
Confido che queste immagini potranno con maggiore facilità parlare direttamente al tuo Cuore:

 

 

Con Amore e nell’Amore,

Eleonora