“Sbagliando s’impara è un veccchio proverbio.
Il nuovo potrebbe dire: sbagliando s’inventa”,
Gianni Rodari
Mi dicevano: “Fai la brava bambina”.
E io ascoltavo.
Mi dicevano: “Sii brava a scuola”.
E io ascoltavo.
“Sii brava. Fai la brava”.
Un mantra.
Non c’è voluto molto perché lo interiorizzassi e lo facessi mio, al punto da credere che fosse una mia esigenza, un mio bisogno.
E mi riusciva bene essere brava (mi è sempre riuscito bene).
Esserlo ha avuto i suoi lati positivi – da un lato i genitori dei miei amici si fidavano di me e permettevano ai figli di uscire perché c’ero io; dall’altro prendevo voti alti a scuola e questo mi ha consentito esperienze che altrimenti non mi sarei potuta permettere o alle quali non avrei avuto accesso, oltre adavermi regalato una certa dose di soddisfazione personale.
Ma.
C’è un grandissimo “ma”.
Lo sforzo di essere brava, e di essere brava sempre, senza falle, senza cadute, sempre perfetta, sempre in vetta, è stato un grande limite.
Quando sei “quella brava” abitui gli altri a determinati comportamenti e risultati e, se sei una persona insicura con un estremo bisogno di approvazione e appartenenza (e forse da bambine lo siamo un po’ tutte), fai il possibile per non deludere le aspettative. Da un lato non vuoi leggere delusione sui volti di chi ti vuole bene e ti sostiene e guida, dall’altro sai che mostrare la tua imperfetta umanità diventa terreno fertile di prese in giro e bullismo da parte di chi non vedeva l’ora che tu sbagliassi – perché forse demolire te dà loro l’illusione di sentirsi meglio con se stesse, ma non è scontato che tu riesca a comprendere questa verità quando sei piccola.
Mi sentivo in dovere di essere brava, anche perché la mia intelligenza era l’unico valore che mi riconoscevo; non potevo rischiare di non sentirmi intelligente, avrei perso la mia identità.
Così sentivo (e a volte sento tutt’ora) la necessità di provare la mia intelligenza parlando di ciò che sapevo per dimostrare che, anche se ero bruttina e non riuscivo a essere come tutti gli altri e non ero una candidata ideale per un appuntamento, anch’io a modo mio valevo qualcosa – e forse questa mia necessità arrivava a qualcuno come saccenza, ma era soltanto una faccia della mia insicurezza.
Inoltre, non mi permettevo di sbagliare – fortunatamente quasi tutto ciò che era esercizio intellettuale mi riusciva facile, ma quando non era così tendenzialmente evitavo, non rischiavo. Non potevo sbagliare.
Non mi concedevo nemmeno di fare domande se non sapevo – perché io ero “quella che sa tutto” (mi chiamavano WikiCosner), mica potevo mostrare la mia fallibilità!
(È vero che il mio essere una curiosa multipotenziale mi ha portata a imparare e conoscere molte cose di molti campi e argomenti diversi; ma ciò che non so è infinitamente più grande di ciò che so)
Dover dimostrare, non voler chiedere, non poter sbagliare… che limiti!
Limiti alla crescita, limiti all’espansione, limiti all’essere in relazione, limiti all’essere me.
Un cambiamento molto lento in tal senso è iniziato – sottile, non riconosciuto – con la maggiore età, ma è stato soltanto a giugno 2017 che ho ricevuto l'”illuminazione”.
A fine mese sono volata a Londra per partecipare al coach training di Wildfitness – tre giorni immersa nella natura di Hamstead Heath a re-imparare il movimento naturale, a re-inselvatichire corpo, mente e spirito.
Lì ho ricevuto una lezione fondamentale: gli errori sono il fertilizzante della crescita e dell’apprendimento.
È proprio vero che “sbagliando s’impara” (quanta saggezza nei proverbi e modi di dire!).
E questo vale per ogni cosa, che essa riguardi corpo, mente o spirito.
Diventa fondamentale concedere a noi stesse la possibiltà di sbagliare, di fare errori, di chiedere, di sperimentare, e farlo senza sentirci in imbarazzo, senza vergognarci, bensì con consapevolezza, presenza e una manciata di autoironia.
Ogni errore può essere una lezione, se siamo disposte a imparare.
Ogni sbaglio può essere occasione per metterci in discussione, se non ci barrichiamo dietro a un’identità rigida che non permette evoluzione.
Ogni domanda può essere fonte di nuova comprensione, se ascoltiamo la risposta a mente aperta.
Sono così passata dall’aver paura e dal provare profondo imbarazzo nell’errore al riderci su (non sempre mi riesce, ma ci provo) e all’aver voglia di continuare a provare finché non riesco, nonché al voler apprendere la lezione se il tipo di errore lo richiede.
Una nuova prospettiva, di espansione e leggerezza.
Ho buttato via il mio vecchio mantra, quello che mi ripeteva “Sii brava. Fai la brava”.
Ciò non significa che non aspiri a far bene ciò in cui mi impegno – ma c’è un’enorme differenza tra questo e il dover essere brava per accontentare gli altri.
È questo che ho buttato via, insieme al dover “fare la brava” al quale ci educano, soprattutto se femmine – ma questa è una storia che necessita di un racconto a parte.
Ti invito a non temere l’errore, perché altro non è che esperienza.
Gioca, esplora, sperimenta, prenditi poco sul serio, ridici su.
Ché, come dice Rodari, sbagliando potresti accorgerti non solo di aver imparato, ma anche di aver creato qualcosa di nuovo.
Con affetto,
Eleonora