Ho l’impressione che spesso si conducano ricerche e si facciano ragionamenti sulle questioni più varie in modo ipersemplificato.
Spesso si guarda una data questione da uno solo alla volta dei mille lati che la compongono – una modalità che non può che fornire risultati (che siano nella forma di dati scientifici o di elaborazioni filosofiche o altro ancora) parziali.

Si continuano a utilizzare gli strumenti e la visione che ci hanno portate a questa realtà attuale, scompensata, squilibrata, senza futuro. Si tratta di strumenti sempre più specifici e settoriali, sempre più frammentanti, divisivi, sconnessi dalla (nostra) natura e, per questo, incompleti; così ci ritroviamo a perdere di vista la visione più ampia che non può che essere fatta di intrecci e interconnessioni, visto che noi umani siamo sistemi complessi che coesistono con altri esseri complessi su un pianeta che è un sistema complesso composto da sistemi complessi.

La complessità ci appartiene, è ciò che siamo e, benché comprenderla completamente sia forse qualcosa che va al di là delle possibilità anche dell’essere umano più intelligente che esista, non possiamo basare studi, ricerche ed esplorazioni sulla capacità media di comprensione della complessità (che da quel che posso osservare è piuttosto limitata).

Così facendo non si rende un servizio all’umanità né al pianeta.
Così facendo finiamo per rimanere incastrate in schemi e circuiti obsoleti e deleteri, con paraocchi spessi che ci piace tenere per evitare di metterci in discussione fin nelle fondamenta del (finora) conosciuto.
È così che condanniamo a morte l’Esistenza.

Perché, parafrasando qualcuno più noto di me, non si possono trovare soluzioni a un problema utilizzando gli stessi strumenti che quel problema lo hanno creato.

Occorre esercitarci ad allungare e distendere i nostri limiti mentali, per aprire sempre di più il nostro spazio interiore a nuove consapevolezze, per accogliere la possibilità dell’enorme complessità interconnessa della realtà e renderla comprensione incarnata – un esercizio che è tanto più necessario quanto più la comprensione profonda della complessità ci sfugge. Per riconoscere quanto abbiamo bisogno di esercitarci, però, ci vuole radicale onestà nei confronti di noi stesse e anche questo è un esercizio troppo poco praticato.

È nella comprensione della complessità che arriviamo a riconoscere (non solo nella mente, ma anche nel corpo) che quando si dice con piena consapevolezza che “Tutto è uno” o che “Tutto è interconnesso” lo si intende non puramente da un punto di vista metafisico, ma anche da quello fisico, materiale, concreto.
Con quella consapevolezza incarnata, diventa impossibile continuare a pensare, essere e agire secondo il modello ormai mostruoso che ci ha portate qui e che sta lentamente ma inesorabilmente andando incontro alla propria morte.
Con quella consapevolezza incarnata, diventiamo capaci di anticipare, di arrivare pronte, di co-creare una realtà nuova che non sia un cerotto sulle ferite di quella morente, né tantomeno una maschera, né una casa costruita su fondamenta di sabbia, ma che sia una radicata, nuova manifestazione di Esistenza.

Per la Nuova Antica Terra,