Quanto giudizio leggo ogni giorno.
Quante pretese di essere, con le proprie opinioni, dall’unica parte giusta – come se esistesse un’unica verità, come se noi, nel nostro essere umani e per questo piccolissimi nell’Universo, potessimo avere chiarezza sul grande schema delle cose.
Molti di noi dimenticano spesso (e a volte non ne prendono mai consapevolezza) che siamo particelle in questo grande mondo.
Molti di noi finiscono per incastrarsi nella rete di problemi e questioni specificamente umane e così vedono come immenso ciò che, da un punto di vista più lontano e distaccato, così grande non è.
Troppo spesso vedo e leggo la difficoltà di riconoscere i pattern (gli schemi, i modelli) nel micro e nel macro e in contesti diversi.
Vedo e leggo l’inconsapevolezza dell’interconnessione di tutte le cose (e questo mi fa arrabbiare, perché trovo certe cose palesi, evidenti, e devo fare i conti con il fatto che non per tutti sia così).
Allora vedo persone che si arrabbiano per un problema senza riconoscere che sono partecipi dell’origine di quel problema – magari non in quel contesto specifico, ma nutrendo forme pensiero e schemi che sono alla radice di ciò per cui si arrabbiano.
Servono continua osservazione e ascolto di sé, spirito critico e volontà di mettersi in discussione, riflessione e spazio, meditazione e accoglienza delle ombre per poter divenire consapevoli della verità (almeno della nostra).
E, con la verità, scegliere onestà verso noi e gli altri, integrità e coerenza.
Essere contrari alla guerra non significa essere fautori della pace, che è ciò di cui abbiamo bisogno, ciò che la cultura della Dea porta con sé (il linguaggio che usiamo conta più di quanto crediate, perché il linguaggio è espressione dei concetti che abbiamo nella mente e che nutrono la nostra visione del mondo; cambiare il linguaggio cambia la visione, e viceversa).
Quando la conflittualità ce la portiamo dentro, quando reagiamo nei confronti del prossimo partendo con armi e armatura in una discussione senza essere disposti ad ascoltare davvero, ad accogliere e onorare la verità dell’altro, quando siamo sull’attenti sempre pronti al giudizio, quando ci barrichiamo nelle nostre convinzioni, magari perché sentirci dalla parte giusta ci permette di sentirci meglio con noi stessi o magari perché quelle convinzioni determinano chi siamo e abbandonandole ci sentiremmo persi… beh, in tutti questi casi e in molti altri, mentiamo a noi stessi se ci dichiariamo contrari alla guerra.
In tutti questi casi e in molti altri, non possiamo essere fautori di pace.
La pace va innanzitutto scelta e costruita e coltivata dentro.
È un lavoro impegnativo, un cammino di dearmoring (di “decorazzamento”) che richiede fede nella Vita e fiducia negli altri e che per questo contiene il rischio della ferita.
Tuttavia, senza pace dentro non può esserci vera e duratura pace fuori: può esserci solo una serie di compromessi che evitano il conflitto forse, ma che richiedono di essere costantemente all’erta.
Senza pace dentro, non possiamo costruire solide fondamenta per un mondo nuovo, che è ciò di cui tutti, ora, consapevoli o meno, abbiamo bisogno.
Per la Nuova Antica Terra,
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